Dalla storia personale di Pradeep Kumar, responsabile della StMicroelectronics in India, emergono gli elementi che hanno favorito il successo degli investimenti in quel Paese della multinazionale italo-francese della microelettronica
«Per capire la cultura indiana, occorre capire la nostra visione della famiglia. I figli salutano la madre baciandole i piedi. E il più grande desiderio dei genitori è vedere crescere i figli in una posizione sociale onorevole, occupati in un buon posto di lavoro, sistemati con un buon marito o una buona moglie. Se un’azienda internazionale riesce a comprendere questo piccolo segreto, avrà un grande successo in India». Pradeep Kumar, responsabile della StMicroelectronics in India, ha partecipato fin dall’inizio, nel 1987, alla crescita nel subcontinente dell’azienda franco-italiana guidata da Pasquale Pistorio. E ne ricorda la storia con l’affetto e lo stupore che si riserva al racconto di una grande, improbabile amicizia: non era scontata la comprensione reciproca tra culture apparentemente tanto diverse e la sua riuscita è l’orgoglio della sua vita.
«Quando Pistorio è venuto qui la prima volta, le potenzialità dell’informatica in India non erano certo riconosciute» ricorda Pradeep. Nei semiconduttori c’era soltanto una presenza della Texas Instruments. «Ma Pistorio ha creduto nelle opportunità che potevano nascere qui: ha visto che il nostro sistema educativo era capace di generare ingegneri molto preparati e in grande quantità, che la nostra struttura dei costi era molto competitiva rispetto a quella dei paesi europei e americani e che l’economia indiana nel suo insieme poteva crescere enormemente. E ha investito».
È stata un’avventura importante. Dal primo insediamento a Noida, vicino Delhi, la crescita è stata costante. Oggi si avvale di 1.400 persone che si occupano di progettazione e software, sta aprendo a Bangalore e prevede di arrivare a 5 mila persone entro il 2010. «Ora tutti ci ascoltano. Ma all’inizio era molto dura. I permessi, le costruzioni, gli allacciamenti… E non era facile neppure attrarre le persone giuste» dice Pradeep. Che racconta, sorridendo: «Io allora lavoravo dalle 5 di mattina a mezzanotte. Non ero spostato e abitavo ancora con i miei genitori. Un giorno mia madre mi disse: non hai un posto in ufficio dove puoi mettere un letto?»
Forse ne soffriva, la madre, di quel superlavoro. Quella di Pradeep era una famiglia di commercianti. Avevano una pompa di benzina. Ce la misero tutta per farlo studiare ingegneria a Bangalore. E appena laureato, quasi con nessuna esperienza, cominciò la sua storia con la StMicroelectronics, tanto impegnativa che allontanò per qualche tempo il matrimonio. Ma ora è si sposato con una donna laureata che ha lasciato il lavoro per costruire la nuova famiglia. Pradeep non racconta volentieri ma ci tiene a far capire che cosa questo significhi. Il suo posto nella società si sta realizzando. E la sua esperienza gli serve a comprendere come aiutare i suoi collaboratori a costuire a loro volta la propria strada. «Il salario è solo una delle motivazioni che portano una persona a lavorare con gioia per un’azienda. Mi sono buttato con passione nel lavoro anche per un senso di responsabilità nei confronti di chi aveva deciso di venire a lavorare con me. E nei confronti anche dell’India. Mi sembrava di contribuire davvero allo sviluppo. Quello che volevo era un’azienda che non facesse come altre multinazionali di allora: vengono, provano il mercato e spesso se ne vanno; volevo un’azienda che puntasse davvero su di noi. E la StMicroelectronics si è dimostrata questo tipo di azienda. Non licenzia, neppure nei tempi duri. Casomai risparmia. E questo conta molto. Alla fine la sua credibilità come datore di lavoro è diventata davvero uno dei suoi maggiori punti di forza». Già, perché ormai l’informatica indiana si è sviluppata straordinariamente. E sebbene il sistema educativo continui a produrre una grande quantità di ingegneri e tecnici, le aziende se li contendono a suon di aumenti di salario e condizioni migliori. La StMicroelectronics ha avuto periodi con un turn over superiore al 20 per cento. Ora è tra il 3 e il 5 per cento. Perché ha creduto all’impostazione di Pradeep.
«Il nostro principale problema è come tenere con noi i collaboratori. Ma quando vengono da me per dirmi che un’altra azienda ha offerto loro un aumento, sanno di potersi fidare come di un fratello maggiore. Ne parlano con me. Chiedono consiglio. La nostra forza è si accorgono che il management li capisce». Certo, ci sono tutte le più importanti forme di incentivazione, dall’assicurazione per le cure mediche, estesa alla famiglia, ai piani pensionistici, alle stock options. «Ma quello che conta di più è che possano sentire che quest’azienda li aiuta a raggiungere un posto d’onore nella società: perché è un’azienda stimata e in fondo li aiuta anche a costruirsi una famiglia e un avvenire». Ci sono anche alcuni giorni ogni anno dedicati all’incontro dell’azienda con le famiglie. Di fatto, sono momenti in cui i genitori hanno anche l’opportunità di occuparsi dei matrimoni dei figli. Che in questa società sono spesso combinati. «Si considera che i genitori possano scegliere con maggiore lungimiranza, mentre i figli si lasciano accecare dalle passioni del momento» spiega con pazienza Pradeep. Che alla fine ha un insegnamento fondamentale da lasciare a chi lo ascolta: in India, più che la ricchezza, conta l’onore. Per provare di essere riuscito, Pradeep fa osservare che la posizione della StMicroelectronics nella classifica delle aziende più ambite come posto di lavoro in India, stilata da Business Today, continua a migliorare ed è passata dalla ventiquattresima alla dodicesima posizione nel giro di pochi anni. Come dice Pistorio: «Certo, la competitività è determinata dalle tecnologie e dall’organizzazione: ma è soprattutto fatta dalle persone».
Fonte: Il Sole 24Ore
17 maggio 2004