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Come gestire al meglio una Pmi
Non è certo una novità che il sistema produttivo italiano si caratterizza per essere basato su una spina dorsale fatta da imprese di piccola e media dimensione. Se si consulta la classifica Forbes delle 500 maggior imprese mondiali, infatti, le imprese italiane brillano per la loro assenza. Vi sono i giganti dell’energia, come Eni o Enel, e dei servizi finanziari, ma sul versante della manifattura, tolta Fiat, non è presente alcuna impresa.
Leggendo, però, le statistiche del Pil e dell’export, si scopre che nel nostro Paese vi sono province, come Vicenza, che esportano più della Grecia, o regioni, Lombardia in testa, che producono più ricchezza di molti stati della UE. E’ proprio lo straordinario numero di piccole e medie imprese, e non di rado le sinergie che esse hanno stabilito all’interno dei distretti industriali, a spiegare questa apparente contraddizione. Ma se tutto questo era valido ieri, e in buona parte anche oggi, domani lo sarà ancora?
Il modello di gestione delle piccole medie imprese
Le piccole e medie imprese hanno finora saputo sfruttare al meglio i loro punti di forza: la flessibilità nel rispondere alle esigenze del mercato, le capacità di proporre ai clienti prodotti e soluzioni innovative, la propensione a investire in risorse e competenze tecniche. Il “motore” di queste imprese, storicamente, è sempre stato l’imprenditore, con la sua visione del mercato, il suo impegno diretto e le sue competenze, affiancato da un pugno collaboratori di fiducia, talora legati anche da vincoli famigliari.
Un modello di impresa che ha garantito coesione e dedizione, e che ha permesso finora di superare le difficoltà provenienti dall’evoluzione dell’ambiente esterno e di avere un forte controllo sulla struttura interna. Molte di queste imprese, inoltre, si inseriscono all’interno di una più lunga catena del valore, in posizioni intermedie, quali fornitori di componenti, semilavorati o di servizi ad altre aziende, spesso di grande dimensione, che invece si rivolgono al consumatore o all’utilizzatore finale.
In questa situazione, tipicamente B2B, ha trovato sempre poco spazio tutto ciò che non fosse legato al “core” del prodotto e dove la sua competitività in termini di prestazioni e prezzo era l’unico, o quasi l’unico, parametro che ne determinava il successo. Con l’allargarsi dei mercati, con l’introduzione delle tecnologie informatiche che annullano tempi e distanze, con la comparsa di fornitori globali, i parametri in gioco si sono moltiplicati. Il risultato è che oggi gestire un’impresa, anche di medie dimensioni, è molto più complesso che in passato.
Le aree di criticità e i fronti su cui competere si moltiplicano, e ogni nuova sfida richiede una soluzione innovativa. Le esperienze del passato, il know-how accumulato non è più sufficiente. In altri termini, quando si sposta l’attenzione dal prodotto al mercato, alcune piccole e medie imprese rischiano di trovarsi nella condizione di dover operare senza disporre di una visione strategica e di adeguati strumenti e approcci manageriali ad esso. Servono allora logiche e strumenti che consentano di compiere un “salto qualitativo” rispetto al modello tradizionale di gestione: l’imprenditore e i suoi più stretti collaboratori devono quindi accettare di mettersi in gioco, iniziare ad analizzare la congruità e la validità del loro modo di gestire, ed aprirsi all’adozione di nuove abilità e nuove tecniche e competenze di management.
Laddove non basta più l’intuito imprenditoriale, si deve far ricorso agli strumenti capaci di produrre le informazioni indispensabili per assumere le decisioni più efficaci e adeguare costantemente i processi aziendali alla nuova realtà.
Nuove professionalità per competere nel futuro
Questo, in sintesi, è la ragione per cui l’inserimento in azienda di risorse qualificate e formate alla nuova visione dei mercati – in particolare coloro che hanno perfezionato il proprio ciclo di studi con un Master in Business Administration – non solo può, ma deve entrare nell’ottica anche delle imprese di dimensioni più contenute. E’, infatti, grazie all’unione delle nuove professionalità e capacità manageriali con i tradizionali punti di forza delle piccole e medie imprese che queste possono porre le basi per perpetuare i propri successi negli anni a venire.
Perché se è vero che la globalizzazione abbatte sempre più le barriere tra i mercati, non per questo si deve erroneamente concludere che, annullate in superficie le differenze tra paesi, alle imprese servano soluzioni uniformi e appiattite, costruite sulla falsariga di qualche lontana “best practise” premiata dal mercato o mutuata da modelli manageriali di grandi imprese internazionali di successo. Al contrario l’ingresso di nuove e più preparate risorse anche nelle piccole e medie imprese è quanto più funzionale quanto avviene sulla base della comprensione delle diversità che le caratterizzano e le distinguono: la cultura e la struttura dell’impresa, gli specifici settori produttivi, le interazioni tra le imprese, le dimensioni e le potenzialità, le particolarità dei mercati.
Il passaggio da un’economia basata sui prodotti ad un’economia basata sull’informazione sta, infatti, cambiando profondamente il modo di competere e anche il modo di gestire le imprese, ma non per questo le modalità del passaggio sono omologhe e omogenee per tutte le aziende. Per accompagnare la transizione, le nuove risorse, grazie alla solida preparazione acquisita e alle non comuni competenze maturate grazie al Master, possono contribuire attivamente ad identificare e introdurre nelle aziende concetti organizzativi e gestionali innovativi, sempre verifi cati nella prassi ma personalizzati e adattati volta per volta alla specifi ca realtà in cui si trovano ad operare.
Fonte Azine.it
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