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Immigrati e consumatori. Per loro il Marketing Etnico
Una delle leggi del marketing dice che quando un mercato è saturo non resta che segmentarlo per trovare nuovi profili e nuovi bisogni da soddisfare. Forse è ancora un po’ presto, però è quello che potrebbe accadere tra poco al marketing etnico, la disciplina che prova a soddisfare bisogni e domande specifiche del target degli immigrati.
Una platea di consumatori, quest’ultima, che fa sempre più gola. Secondo il più recente censimento Istat gli stranieri regolari in Italia al 1° gennaio 2007 erano circa 3 milioni, il 5% della popolazione italiana, con tassi di occupazione superiori all’80% e un reddito medio mensile non inferiore agli 800 euro. Nel complesso, vale quasi il 6% del Pil italiano. E il trend è destinato ad aumentare.
Impossibile non pensare che dietro numeri così significativi non si nascondano mondi e abitudini di consumi differenti, se non lontane tra loro. Quello degli immigrati è un mercato in continua evoluzione, i cui bisogni variano in funzione del tempo di permanenza nel nostri Paese, del livello di conoscenza della lingua, oltre che in virtù della nazione di origine. “Fino ad oggi abbiamo assistito all’assistenza di un riconoscimento degli stranieri come un mercato con esigenze e bisogni specifici – spiega Enzo Napoletano, consulente di etnomarketing per le aziende -. La scelta può derivare da miopia strategica e ignoranza del fenomeno a livello quantitativo. Ma possono esserci, da parte delle imprese, difficoltà anche a leggere gli elementi distintivi di questo mercato”.
Eppure, anche se un po’ in ritardo rispetto alle urgenze di mercato, le aziende che si stanno preparando alla sfida del consumatore evoluto ci sono. Le compagnie telefoniche, ad esempio, prime ad aver intuito le potenzialità del business etnico con la creazione di tariffe agevolate per chiamare i paesi d’origine, oggi si danno filo da torcere giocando su due tavoli: quello del prezzo, per gli immigrati di più recente stabilizzazione, e quello dei servizi per coloro che hanno capacità di spesa crescenti. “Il segmento etnico aumenta sia dal punto di vista numerico che dal punto di vista del valore – spiega Maximo Ibarra, responsabile mobile marketing e customer management di Wind -. Si tratta di clienti pregiati perché effettuano forti volumi di chiamate (secondo una ricerca Eurisko gli immigrati spendono in media 80 euro al mese in telefonia, ndr) e utilizzano il cellulare spesso come strumento di lavoro. Per questo stiamo studiando programmi e progetti specifici per venire incontro ad esigenze che assomigliano sempre più a quelle della clientela business”. Vodafone, per rispondere alle necessità di informazione dei propri clienti di madrelingua n no italiana, ha attivato un numero di assistenza multilingue in otto idiomi diversi, e anche Tim, che è entrato nel segmento nel 2’’5, guarda con interesse alla crescita potenziale del target etnico. “In futuro potremmo assistere a una differenziazione anche dei costi e dei servizi, privilegiando necessità diverse a seconda dell’etnia”, spiega Alberto Ceccarelli, responsabile Consumer mobile di Telecom Italia. “E’ il marketing etnico in senso stretto, che si traduce in una scelta di sviluppare un marketing di nicchia, con la realizzazione di prodotti e servizi ad hoc – spiega Luca Visconti, docente di marketing dell’Università Bocconi e coordinatore dle Corso di perfezionamento per manager dell’immigrazione della Sda Bocconi -. La logica della etnicizzazione presenta un rischio di ghettizzazione ma al tempo stesso serve anche a rispondere a bisogni esclusivi dei diversi segmenti”.
Divergente, invece, la logica di alcune banche, che si rivelano sempre più attente a intercettare le opportunità di business dei fenomeni migratori ma in un’ottica di progressiva integrazione. “Il cittadino immigrato all’inizio ha bisogno di supporto e consulenza su prodotti semplici come il nostro conto corrente o il mutuo per la casa”, spiega Pierpaolo Tempestini, responsabile della rete Agenzia Tu, del gruppo Unicredit, focalizzata anche sul segmento immigrati. “Con il tempo però le esigenze cambiano al variare del progetto migratorio del singolo – gli fa eco Nicola Generani, responsabile dei Servizi bancari per privati di Intesa-Sanpaolo, gruppo che ha lanciato i Multiethnic Point, aree ad hoc all’interno delle filiali situate nelle città a più alta concentrazione di immigrati – e diventano gradualmente più articolate e simili a quelle del cliente italiano”. Forse, più che verso l’etnomarketing, in questo caso allora il futuro prende la forma del marketing interculturale: un modo per raggiungere e coprire i “diversi” consumatori senza che nessuno si senta “diverso”. Come dire, immigrati o no, le esigenze coincidono. “L’idea di fondo è di progettare prodotti e servizi che rispondano contemporaneamente a bisogni condivisi tra licenti di diverse etnie, straniere o italiane che siano – conclude Visconti -. La crescita del benessere degli immigrati spingerà le aziende a scegliere strategie di comunicazione integranti: promuovere un solo prodotto in tutte le lingue, ad esempio, oppure – è il caso dell’Ikea e di alcune banche – a scegliere commessi stranieri per negozi italiani”.
Fonte: Il Sole 24 Ore - Articolo di Luca Davi
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